venerdì 14 dicembre 2012

La Villa - racconto noir (Dellastiara, ep. 1)


Finalmente ci sono! Ecco la casa di quel bastardo. Da mesi sono sulle sue tracce. Da mesi sono ad un passo per agguantare quel maledetto e vendicare le decine di vittime che lordano la sua coscienza. E la mia.
Ha ucciso donne e uomini. Ha torturato e ucciso. Ha danzato intorno e dentro i corpi vivi e massacrati. Le scene dei delitti sono sempre state orge di sangue. Trasudanti dolore. Le grida di quei poveretti sembravano ancora rimbalzare sulle pareti, testimoni mute di quella follia mortale.
Ad ogni plenilunio qualcuno moriva.

Ad ogni plenilunio la mia ulcera peggiorava e quel maledetto compiva un altro passo nel suo delirio infernale. Ma ora basta!
Finalmente sono arrivato alla sua tana. Stanerò quel pazzo omicida e lo scaraventerò nella più profonda delle celle, per dimenticarcelo per sempre. Sempre che la Giustizia di questo stupido Paese non faccia di tutto per rimetterlo in libertà. È già capitato.
Comunque.
La villa è decrepita e fatiscente. Sembra il volto di una vecchia arcigna e mal truccata. Con le palpebre cascanti delle persiane scrostate. I mattoni scoperti sugli zigomi spigolosi dall’intonaco perduto.
Il giardino è degno di un vecchio horror in bianco e nero, dove rovi spinosi hanno preso il posto di aiuole fiorite. E le sterpaglie hanno soffocato l’erba.
Mi ci vuole parecchio coraggio per attraversarlo, ignorando gli incubi infantili che mi picchiettano sulle spalle, per non essere dimenticati. Sogni di buio che uccide. Sogni di terrori acquattati. Sogni reali come la ghiaia lurida che mi scricchiola sotto i piedi.
Arrivato al portone lo trovo accostato. Non chiuso. Il legno marcio cigola mestamente. L’androne è buio e sporco. I tarli hanno divorato i pochi mobili accatastati con incuria lungo le pareti. Hanno digerito e defecato quegli antichi simboli di lusso.
Sento uno strano rumore provenire dal piano superiore. Il cuore mi balza in gola. Finora pensavo fosse solo una metafora letteraria. Ma mi sento davvero battere il collo fin quasi a scoppiare. E un rombo ritmico nelle orecchie. Un’ondata di adrenalina dalle gambe attraversa tutto il corpo.
Meglio che mi calmi. Estraggo la pistola e respiro. Lentamente entrambe i gesti. Riprendo il controllo.
Lascio che gli occhi si abituino alla penombra che regna nell’ambiente e salgo le scale con gesti lenti. La polvere sui gradini di legno è stata calpestata più volte.
Il piano superiore è un susseguirsi di tenebre e polvere. In più punti l’umidità ha corroso le tappezzerie eleganti.
Ogni passo trae echi da alcove buie, ampliandosi e distorcendosi in una sommessa cacofonia. Infernale.
Dai passaggi più reconditi aliti di aria ghiacciata mi fanno rabbrividire. Fantasmi invisibili sembrano passarmi accanto, sfiorandomi con l’intenzione sinistra di irritare ancora di più i miei nervi. Già a fior di pelle.
Sono stati gli indizi a portarmi qui. Sparsi sulle scene dei crimini quasi a voler essere trovati. Senza una logica. O forse con una logica al di là di una comprensione possibile. Ebbi da subito l’impressione però, che quelle tracce fossero state lasciate lì, per essere trovate. È come se l’assassino volesse farsi trovare. Come se due entità contrarie e contrapposte combattessero una titanica lotta e prendessero alternativamente il sopravvento su quel corpo schiavo.
Da principio i pezzi del puzzle erano confusi e difficili da trovare. Poi intuii lo schema e fu più semplice vedere il disegno generale. Purtroppo mi ci volle più tempo di quello che avrei voluto per capire. Arrivai ad attendere con impazienza i noviluni, per poter ricevere da quella mente distorta un'altra di quelle indicazioni sussurrate, che alla fine mi hanno portato qui. Anche se a scapito di un’altra povera vittima.
Ancora quel rumore! Un rantolo o una vibrazione profonda. Non so.
Ho i sensi all’erta e tesi. Spasimo doloroso nel silenzio.
In fondo al corridoio che è un pozzo di inchiostro, vedo un bagliore accennato. Mi incammino piano. Ad ogni passo piccole nuvolette di polvere si alzano dal pavimento di legno marcio. Accanto alle mie, altre impronte.
Arrivo in fondo. Una porta socchiusa lascia trapelare una lama di luce fioca. Rossa. Mobile. Fuoco, forse.
Lancio un rapido sguardo dentro la stanza.
Le braci morenti in un caminetto illuminano male e scaldano ancor meno un ambiente dove pochi mobili antichi incombono nello spazio. Davanti al camino una poltrona. Su di essa un uomo seduto. È di spalle. Vedo solo le gambe allungate verso il camino.
Benvenuto disse una voce roca, proveniente dai cuscini della poltrona. La stavo aspettando.
Io mi irrigidisco nella tensione e, devo ammetterlo, nella paura più profonda. Quella voce risuona di timbri cavernosi e bizzarri. Ma il vero terrore viene nel riconoscerla. È la voce del Capitano Donati. Il mio superiore!
Temevo che non ci sarebbe mai arrivato. Ho pensato di averla sopravvalutata. Ma infine eccola qui. Complimenti. Caso risolto, Tenente Dellastiara.
Un sudore freddo inizia a colarmi lungo il collo e la schiena. Me ne sto qui immobile, con la lingua incollata al palato. Pervaso dagli strani echi di quella voce orrenda e famigliare.
Bene Tenente. Non può far altro che arrestarmi, arrivati a questo punto. Venga allora. Mi porti nella sua ridicola prigione, pensando di aver fatto giustizia. Anche se è consapevole che si tratta solo di una vuota parola. Non esiste un bene né un male. Sono solo punti di vista culturali... ma sto divagando. Venga ad arrestarmi ho detto.
Mi avvicino alla poltrona. Non c’è stato alcun movimento, né alcun altro rumore nell’intero edificio. Solo le vibrazioni di quella voce aliena.
Mi avvicino e vedo le gambe accavallate. Ma il capitano di solito si siede in un altro modo. Strano.
Mi avvicino. Le braci del camino per un attimo si spengono, come se una mano d’ombra le avesse coperte. Una ventata gelida mi attraversa. Quasi mi stordisce.
Finalmente eccomi. Lo guardo in faccia.
Il volto pallido dagli occhi sbarrati mi comunica in un attimo la situazione. La bocca spalancata in un grido muto mi dice quel che è successo. Ma la mia mente non capisce. La mia mente non accetta. Il Capitano è morto. Almeno da alcune ore. Con chi ho parlato finora?
Al piano di sotto ancora quel rumore. Roco, gutturale. Demoniaco.
Una risata.

___
un racconto noir di AGO

12 commenti:

  1. ci rincontreremo tenente dellastiara, non so quando, ma ci rincontreremo.

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    1. Grazie Endi della tua attenzione. Scusa se non posto spesso sul tuo blog, ma leggo sempre i tuoi splendidi shortini.

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    2. nessun problema ago, mi piace leggerti, mi piace il tuo stile, mi piace anche la sintesi dei tuoi racconti.

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  2. Non per impicciarmi, ma intendevi "sintassi"?

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    1. Non ti impicci affatto, però credo proprio che intendesse sintesi. Mi piace arrivare al nocciolo, senza orpelli né giri di parole. Tuttavia anche la sintassi mi costa un certo lavoro...

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  3. Ciao, mi piace molto questo racconto, vorrei usarlo per eseguire una lettura doppiata.. e volevo chiederne il permesso. Ovviamente scrivendo il nome dell'autore.. grazie. buona serata.
    Daniel
    www.danielspizzichino.com

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    1. Ciao Daniel,
      ti ringrazio per l'apprezzamento.
      A dire il vero non so cosa sia una lettura doppiata ma sin d'ora hai il mio permesso, per usare il mio testo.
      Ti sarei grato se oltre a scrivere il mio nome, aggiungessi anche l'indirizzo del blog.

      PS: avrei voluto mandarti una e-mail ma l'indirizzo del tuo sito (complimenti) non sembra funzionare. Contattami tu alla mia: ago.alieno@gmail.com

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  4. mi piace!
    anch'io scrivo racconti su http://rebeccalenastories.wordpress.com/ !

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  5. AGO premetto una cosa:
    Il poliziesco e tutti i suoi sottogeneri sono la mia passione,sono il mio genere prediletto che sia letteratura,che sia cinema o serial tv,...qui cosa leggo?
    Un emozionante ed eccellente racconto Noir,scritto con dovizia e passione.
    Durante la lettura mi hai fornito un forte senso di immedesimazione,descrivendo benissimo la vicenda e prestando cura dei dettagli e dell'ambiente in questione e inoltre fornisci una bella suspance
    Vedo che hai scelto di pubblicarlo a puntate...non male come idea,un pò come i serial (specie americani che sono i migliori in questo genere di cose) che lasciano lo spettatore in sospeso e con quella curiosità di vedere come va avanti.
    AGO ti posso chiedere:
    Ma a cosa ti sei ispirato scrivendo "il tenente Dellastiara"?
    A dei film o a dei libri?

    Qualsiasi ispirazione essa sia,hai assimilato molto bene per la creazione di questa serie di racconti!


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    1. Ciao Giuseppe, questo racconto è stato il primo di quella che poi si è spontaneamente presentata come una serie a puntate. Anch'io sto scoprendo le vicende del tenete un po' alla volta. Staremo a vedere.
      Mi sono ispirato ai racconti di HPL e poi di tutto un po'... Bukowski, Lucarelli, Gaiman.
      Leggo un po' di tutto e qualcosa di ogni autore mi rimane dentro.

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